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"Il fantastico è il linguaggio dell’io interiore.Non pretenderò altro per la narrativa fantastica che dire che la ritengo il linguaggio adatto a raccontare storie ai bambini ed a altri. Ma lo affermo con sicurezza perché ho dietro di me l’autorità di un grandissimo poeta, che lo ha detto in modo molto più audace: “Il grande strumento del bene morale – ha detto Shelley – è la fantasia.”

Ursula Le Guin

giovedì 27 agosto 2015

Principessa Rosa Colombi, detta la Colombina


Questa principessa, dovete sapere, nacque assai poverella, in una fredda mattinata del febbraio del 1703 praticamente per strada,in un cortiletto di Calle dei Perduti Amanti (l’acqua del vicino canale si stava ghiacciando) da genitori commedianti ambulanti, in Venezia.
Visse la bellezza di 99 anni e morì riccona nel suo gran letto di broccatello giallo dentro un palazzetto rosa rococò nella bella città imperiale di Vienna, tutta quanta innevata e scintillante di ghiaccioli sui tetti quell’inverno, per la precisione l’inverno del 1802.
99 anni? Accipicchia! E cosa fece tutto questo tempo?
Viaggiò principalmente, a piedi dapprima, poi in carretta cogli altri commedianti, a volte a dorso di mulo e d’ asinello, in laguna viaggiò in gondola e in barchetta, per mare in tartana e in veliero brigantino, per monti e per valli viaggiò a cavallo e in diligenza e infine, quando si fu, come si dice, sistemata, viaggiò qualche anno ancora nella sua grande carrozza verde e oro, con stemmi e coroncine e tutto il resto. Insomma si può dire che, nella prima parte della sua vita almeno, lei scorazzò su e giù per mezz’Europa come se non potesse mai starsene ferma.
Un ‘avventuriera dunque? No, non soltanto… 
La chiamarono “La Colombina” e fu principalmente un’artista, come tale dotata di molta immaginazione, davvero molta, forse anche troppa. 
Cantò, recitò, danzò, fu commediante di trada e di teatro. Suonò il violino, la chitarra, il mandolino e la spinetta 8un tantino anche il clavicembalo). Si pavoneggiò sempre nei suoi vestitini deliziosi, un po' corti,semplici, semplici(da povera se li faceva da sola) o lunghi, lunghi, esageratamente sontuosi, col doppio strascico a ruota che creava pericolosi vortici nei minuetti sicché, se ti ci trovavi dentro, dovevi saltare
Rise e pianse e poi pianse e poi rise e andò sempre avanti per la sua strada avventurosamente accidentata.
Ogni tanto, è vero, faceva degli scivoloni e cadeva pure giù negli strapiombi, ma poi si risollevava sempre e sempre zoppicava appena, appena, come una capretta capricciosa ma coraggiosa. Civettò e civettò facendo morir d’amore ammiratori e spasimanti (ne aveva davvero tanti!) tranne una volta sola quando s’innamorò. infelicemente naturalmente, di un brigante napoletano, figlio orfano di un barone dissestato che si era rovinato in azzardose speculazioni sulle azioni inglesi legate all'argento spagnolo del Venezuela. Un tipo impossibile comunque, anzi due tipi impossibili, padre e figlio!A quel tempo giocò a briscola e a scopa, imparò a sparare col fucile e con la pistola e galoppò a cavallo per campi, boschi e strade maestre. 
Sventuratamente (per lui) e fortunatamente (per lei) al brigante napoletano venne tagliata la testa, e lei subito dopo divenne celebre Fu finalmente primadonna in teatri importanti, una vera stella! E allora giocò a baccarat, scrisse e declamò poesie nei salotti e se ne andò in carrozza a quattro cavalli con un lacchè davanti e uno di dietro. Poi sposò un principone austriaco e, diventando principessa, si dedicò al ricamo e a mangiarsi bignè e sorbetti e torte, non ancora Sacher, ma sempre al cioccolato, tutto il santo giorno, tanto che pian, pianino, da magra che era, diventò grassottella come una piccola quaglia, poi fu proprio grassa e, infine e irrimediabilmente, fu… grassona.

Certo, qualche volta organizzava ancora dei concerti, faceva recitare nel salone lilla di casa sua quelle commedie buffone che le era piaciuto tanto recitare una volta, oppure delle tragiche tragedie che l’avevano stufata sempre un poco da attrice e da spettatrice ma che, tuttavia, pensava le si addicessero, conferendole in entrambi i casi tono e distinzione. Dava anche qualche bel ballo e allora tutta la Vienna che contava si andava accalcando nei suoi saloni, ma la sua attività principale, quando divenne principessa, era diventata quella di vestirsi da fiore.
Vestirsi da fiore? Ma che significa?

Significa che, siccome nell’aprile del 1719, appena giovinetta, aveva indossato per la prima volta un abito da fiore di rosa a palazzo Bergamin… (la contessa Sebastiana buonanima ogni anno si deliziava di organizzarvi dei tableau-vivants di primavera con alberi, fiori, ninfe, niente satiri ma mitologici venticelli, foglioline tenerelle, eccetera, eccetera) e siccome nel 1742,  da primadonna al San Carlo di Napoli, vi ebbe un vero e proprio trionfo recitando e canterellando su un’arietta primaverile del Pergolesi “La canzone della rosa ingrata”, tutta vestita giustappunto da rosa rosa spampanata -aveva 39 anni allora, ma la parte le andava ancora a pennello -… la principessa Rosa, anzi Rosy ora che era divenuta austriaca, invecchiando s’era come fissata: come Rosa era nata (il nome di sua nonna materna che veramente ai tempi suoi faceva il poco fiorito e profumato mestiere di pescivendola a Chioggia…), rosellina in boccio si era mascherata, umile attricetta in fiore, tra la gran nobiltà veneziana in ammirazione, rosa spampanata era stata in gran gloria nel suo momento migliore: al San Carlo e… rosa doveva essere per sempre!

Che buffa a vederla nei suoi ultimi anni! I vestiti suoi di fiore degli anni 60, 70, 80 e perfino degli anni 90 (fino al 97, poi si mise a letto) ricalcavano sempre il modello e la moda di quello del 42 o finanche di quello del 19 (con assai poca stoffa quest’ultimo in verità!) e lei, la principessa Rosy, come vi ho già accennato, da silfide ch’era stata, era divenuta giunonica in età matura, ma poi addirittura una specie di botticella, piena di buon vino liquoroso senz’altro, ma insomma… botte!
Vestita (abito del 40) o svestita (abito del 19) da rosa in tutte le infinite sfumature del rosa, questa botticella stagionata passeggiava di pomeriggio e di sera per le stanze e i corridoi del suo palazzo (col caldo usciva anche in giardino), trotterellando su dei piedini incredibili, piccolissimi che erano rimasti tali perché stretti, stretti in minuscoli scarpini di raso
Non cadeva mai, ed era un vero miracolo, ma spesso e volentieri si stancava e allora si sedeva e ricamava, s’abbuffava di dolci, riceveva i suoi ospiti

A un tratto, nel bel mezzo di un tè con pasticcini ad esempio, s’alzava e strillava rivolta alle sue donne: “Acqua, acqua! Mi son tutta rinsecchita… inumiditemi dunque che son rosa delicata!” Lo diceva in tedesco o in veneziano e quelle accorrevano, rosse, rosse in faccia ed tutte incuffiate di trina, con flaconi e flaconcini e bottigliette d’acque odorose lenitive ed idratanti  e spugne in bacinelle piene di camomille e acqua ai fiori d’arancia o della Regina d’Ungheria. Una cosa da pazzi! Ma infine l’unica sua manifestazione di vera follia (a parte forse l’abito del 19) innocua peraltro, del tutto innocua, tanto che tutti, servitù, parenti e ospiti, s’erano abituati e non battevano più ciglio; creava un po’ di trambusto è vero, con le cameriste che s’affannavano a inumidirle in fretta la pelle, vestito e acconciatura per non farla rinsecchire, ma si poteva benissimo intanto riprender tranquilli la conversazione o sorbirsi il tè o la cioccolata, inzuppandoci dentro pure i pasticcini! Dopo essere stata ben benino irrorata, Rosa, Rosy per gli austriaci e gli austriacanti, tornava quella di prima. Fino alla prossima crisi floreale, naturalmente!

Con tutta questa umidità che si tirava addosso le si rovinavano tutti i famosi costumi da fiore ed era un via vai di sarti e sarte affaccendati (il principone, ch’era sempre stato un po’ tirchio, per fortuna era già morto e sepolto da un pezzo) i quali, anche se venivano pagati bene, si sentivano umiliati a dover rifare sempre gli stessi modelli vecchi bacucchi.
Ma poi chiaramente le vennero i reumatismi e allora Rosy dovette trotterellare appoggiandosi al bastone. Con la sciatica non trotterellò più ma si fece trasportare per il palazzo in lettiga.
Non la finiva tuttavia di farsi bagnare e i medici mandati dai nipoti del principe (la coppia principesca non aveva avuto figli) avevano un bel daffare a farle smorfiette vezzose rimproverandola dolcemente col ditino alzato e facendole nell’ orecchio: ”No, no, no, no! Così, cara signora principessa, lei non può andare avanti! Proprio no, no, no!”Lei da quell'orecchio non ci sentiva! Ma che orecchi poi, che orecchi? Lei era un fiore, o che altro?
In definitiva la lasciavano fare e i nipoti in realtà speravano in una bella polmonite che venne infatti, ma venne stranamente tardi,tardissimo, sicché non furono poi loro a ereditare ma i pronipoti! 
Che tutta quell’acqua le facesse bene? O che veramente fosse Rosa Colombi, volendolo tanto e tanto, diventata veramente fiore?
Morì a 99 anni, l’ho detto, di polmonite.
Era vecchia, vecchia, vecchia, non più grassa, ora, ma non per questo rinsecchita, anzi aveva proprio una bella pelle fresca per la sua età, lo dissero tutti!
Al gran funerale che seguì in Santo Stefano, si suonò ad un certo punto anche quella vecchia arietta del Pergolesi ormai dimenticata e una voce esilissima di tenorino dal marcato accento tedesco intonò: “Fui io rosa vana a a e ingrata a a…  
Storpiò un po' gli accenti ma piacque alle vecchie signore e fu tutto.




(da "Principesse metamorfosi")


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