Translate

teatro fiaba poesia teatro fiaba poesia teatro fiaba poesia teatro fiaba poesia teatro fiaba poesia



"Il fantastico è il linguaggio dell’io interiore.Non pretenderò altro per la narrativa fantastica che dire che la ritengo il linguaggio adatto a raccontare storie ai bambini ed a altri. Ma lo affermo con sicurezza perché ho dietro di me l’autorità di un grandissimo poeta, che lo ha detto in modo molto più audace: “Il grande strumento del bene morale – ha detto Shelley – è la fantasia.”

Ursula Le Guin

venerdì 10 dicembre 2010

Dedicato ad Angela Carter (Introduzione a "Alice a Praga"




Dedicato ad Angela Carter


Con gli occhi densi di saggia follia e un sorriso enigmatico sulle labbra come un’inquietante statua gotico/vittoriana, Angela Carter è presente in molte delle strade e dei crocicchi della mia anima letteraria e, simile a uno strano Giano al femminile, può presentarmi anche due facce, sempre incompatibili, spesso incoerenti, ma pur tuttavia perfettamente tra loro simmetriche.
Questa regina delle ombre (e intendo ombre anche stranamente luminose!) e dell’ambivalenza, questa narratrice impagabile dalla prosa modernissima e volutamente densa di alti simboli, questa eccentrica, multiforme signora inglese ha attinto infatti a piene mani dall’inesauribile patrimonio favolistico arcaico e classico una calda materia palpitante, intrisa di sogno e quindi di inconscio, al di là delle apparenze più junghiana  forse che freudiano, per coniugarla - cito qui le precise parole di Salman Rushdie - con Baudelaire, Poe, Shakespeare e per poi surrealisticamente scomporla e sminuzzarla con freddo e razionale accanimento.
I suoi racconti, le sue fiabe si innalzano così su simili magmatiche fondamenta e, mattone su mattone, arrivano a bucare il cielo con aeree torri acuminate.
L’incontro con Angela Carter non può che turbare e incidere nel profondo, in particolare chi, come me, è attratto da fiaba, teatro e psicologia infantile, entità polivalenti, sfaccettate e misteriose che insieme possono sincreticamente comporre una temibile triade demoniaca.
La Carter scrisse anche diversi adattamenti teatrali per i suoi racconti ed amò particolarmente il teatro radiofonico (di cui solo coloro che come lei, e come me, sono nati prima degli anni 50, possono ricordare tutto il sonoro splendore). Ma in realtà “tutti” i suoi racconti sono squisitamente teatrali nell’impostazione, nella forma e nella sostanza. Gli scenari di alcune fiabe mutano addirittura agli occhi stessi del protagonista che li attraversa inaspettatamente in scenari di cartone, scenari di teatro.
La predilezione poi della Carter per il teatro pitocco, squallido e affascinante come una pozzanghera dopo un acquazzone, quel teatro di strada con tutto il suo otto/novecentesco armamentario di buratti & pagliacci tristissimi, ottovolanti da Luna Park, fenomeni da baraccone e tendoni a righe svolazzanti nel vento di tramontana, è un altro importante aspetto della sua personalità, un’altra,vivida sfaccettatura del suo mondo interiore. E lo è da sempre anche del mio (grazie Verlaine! Grazie, Palazzeschi! Grazie Chaplin, Bradbury, Fellini!) e di quello, credo, di tutti coloro che non sono riusciti ancora del tutto a mollare gli ormeggi dalle acque dell’ infanzia, non sono riusciti ancora del tutto a dimenticare.

La vera magia di ”Alice, un Natale, a Praga”, una fiaba giocata tutta sulla magia, si condensa nel gioco surreale e prezioso di contrasti: folclore, superstizione e problemi di matematica, girandola di fuochi d’artificio di razionalità e nonsense, guglie d’oro, barocco di Boemia e banane ondeggianti sulla testa di una ormai per noi preistorica Carmen Miranda, la cui sfacciata sensualità annienta le vaporose pruderie vittoriane dell’Alice di Carrol. E, anche qui, riecheggia il teatro di strada: il Dottor Dee, dai fasti secenteschi delle rispettive corti di Elisabetta I e Rodolfo in cui storicamente visse, sembra precipitare in quello strano circo noir che appare in certi momenti quel meraviglioso  gabinetto delle meraviglie di Praga e da mago, scienziato, alchimista, regredire a imbonitore, prestigiatore da strapazzo, addirittura pagliaccio.


Del resto, sembra suggerirci la diabolica scrittrice dietro le quinte, le sue creature, servitori e schiavi, quei meravigliosi, preilluministici automi, non sono forse altro che buratti, povere marionette tremanti di freddo e di paura, le cui balbettanti, intirizzite parole non riescono a nascondere nel loro fondo l’eco di una voce cavernosa... e melliflua. E doppia...
 “Double-face”, signori e signore! Proprio come ci è lecito immaginare la voce di qualunque “creatore” che si rispetti. E ciò naturalmente è da intendersi per qualsiasi “mondo creato” si voglia prendere in considerazione. 
Tutto questo scottante materiale è stato messo nel crogiuolo e mescolato da me, per i miei ragazzi, per i miei giovani attori e per il mio giovane pubblico di cui volevo saggiare la sopravvivenza delle capacità immaginative ed interpretative, misurare la temperatura corporea dinnanzi a qualcosa di infinitamente diverso, articolato, profondo, stratificato, da ciò che di solito oggi passa loro il convento (la tv, la scuola, la famiglia, la società in cui hanno la ventura di vivere).
Dal calderone è riaffiorata, mi è riaffiorata, un’Alice sempre più isterica nelle sue certezze e consapevolezze, che incombe sul Dottore e su tutto e, nel meraviglioso Gabinetto, dapprima inconsapevolmente, poi con lucida e crudele determinazione, gli scatena un sabba infernale e danzante.



Che il valzer sia stato in fondo una danza demoniaca è oggi un’opinione abbastanza comune tra coloro che ne hanno analizzato i turbinosi ritmi e l’entità del contagio che travolse per un secolo gran parte del mondo occidentale. Niente altro che il valzer quindi poteva scaturire dai meandri della mia immaginazione, stimolata meglio di una sniffata di cocaina, da Angela Carter... e il valzer più consono alla situazione, credo: “ La donna è mobile qual piuma al vento/ mutaaaaa… ”


L’immagine da una foto, bellissima tecnicamente, della “mia” Alice che, sul punto di scatenare la danza infernale tenendosi le lunghe gonne azzurrine, letteralmente vola, è per me impagabile nel rappresentare emblematicamente quello che è successo alla fine. 
Alla fine, intendo dire, non solo della fiaba teatrale, ma anche della sua stessa messa in scena.
L’ impatto col demoniaco e col valzer è stato travolgente per i miei stupitissimi attori, per il mio pubblico, dapprima sbigottito, poi esilarato, e pure per me stessa che ne ero almeno consapevole: siamo lievitati.
Grazie Angela!



APPROFONDIMENTI:
















Nessun commento:

Posta un commento