C'erano una volta un marito e una moglie in una bella casina, di cui una finestra dava sull'orto delle meraviglie che apparteneva a delle fate.
Ora dovete sapere che questa moglie aspettava un bambino e così un bel giorno di primavera s'affaccia alla finestra per rallegrarsi del verde smeraldino e respirar l'aria pura e vede... vede un prato di prezzemolo, ma un prato di prezzemolo... insomma, non sto a dirvi: il più bello! Non poteva resistere di certo per la voglia che l'era venuta all'improvviso di papparselo! Attese allora di vedere andar via le signore fate, come ogni giorno usavano, a farsi una passeggiatina sul corso, prese una scala di seta, si calò giù e si mise a mangiarsi il prezzemolo a tutto spiano. Mangia, mangia, finché poi si fa tardi e "Se tornassero le fate?" pensa la donna . Così risale per la scala, chiude la finestra e via! Poi ogni giorno si mette a far così perché non ne poteva proprio fare a meno!.
Un giorno, le fate passeggiavano in giardino e:
"Ditemi un po', care sorelle,'" disse la più bella, che l'aveva i capelli tutti come fili d' oro fino "non vi par che manchi del prezzemolo?"
"E ne manca anche tanto!"Le risposero in coro le altre, tutte preoccupate "Povere noi! Qui, c'è sotto lo zampino d'un ladro! E che si fa se il nostro orto delle meraviglie s'impoverisce? O che figura ci facciamo poi con le altre fate?"
"Ve lo dico io che si fa, carine,"dice la più furbetta che l'aveva i capelli rossi proprio come fiamma accesa "Usciremo tutte fuori, come per farci la nostra solita passeggiata sul corso, ma una di noi invece se ne starà nascosta dietro la siepe di bosso; sicché, se c'è qualcuno che viene a mangiare, lo vede e poi lo pigliamo."
Detto, fatto: una delle fate rimase fuori a far la posta e le altre a passeggiare .
Quelle svoltano l'angolo e la nostra donna, che sbirciava dalla finestra, scende giù lesta per mangiare, e mangia; poi, proprio mentre stava per ritornarsene su per la scaletta, la fata che l'era nascosta salta fuori dal bosso e le si para dinnanzi tutta furibonda, tanto che le trecce viola le schiocchiavano attorno come serpi:
"Oh briccona, briccona!" dice, "T'ho scoperta, eh?"
"Abbiate pazienza." dice quella poverina, che non se l'aspettava, "Io sono gravida, cara la mia signora, e avevo questa voglia...".
"Ebbene" dice la fata, "ti perdono. Ma senti, si fa un patto: se ti nasce un bambino, dovrai chiamarlo Prezzemolino, se sarà bambina, le darai nome Prezzemolina; comunque, quando sarà grande, ce lo prenderemo noi, maschio o femmina che sia! Sarà nostro, via, noi non abbiamo bambini, e tu te ne puoi fare un altro!"
Figuratevi quella poveretta! Proruppe in un pianto a dirotto che non si poteva più consolare e piangendo, diceva: "Malandrina la mia gola, mi sei costata assai!"
Anche il marito, quando lo seppe (ché lei non si era sentita di nascondergli il fattaccio), non smetteva più di rimproverarla: - «Golosaccia! Hai visto che succede, a rubar prezzemolo?"
Poi partorì una bambina ch'era proprio bellina, bellina, e la chiamarono Prezzemolina. Le fate non si fecero punto vive, neppure per le congratulazioni o il corredino, e lei dopo un po' pensò che forse l'era stato tutto uno scherzo, per farle smettere di rubare nell'orto, appunto, così si rassicurò e, alla fine, persino ne domenticò.
Ma quando Prezzemolina fu grandicella, la si mandò a scuola come gli altri bambini e, mentre passava davanti al cancello dell'orto, le fate sbucarono fuori e le fecero complimenti e mille vezzi, poi le dissero:
"Bambina, dì alla tua mamma, che si ricordi di quella roba."
In casa la donna era tutta in faccende,;la bambina entra e le dice: "Vi dicono le signore dell'orto di non scordarvi quella cosa."
Quella cucinava e le risponde "Non mi seccare che sto facendo la ribollita"
"Ma mamma, tu non mi ascolti..." dice Prezzemolina "le signore qui accanto, che son tanto gentili vogliono una risposta"
E la mamma che era sovrappensiero, le fa: "Dì loro che se la prendano!"
Il giorno dopo la bimba va a scuola e poi torna, e le fate al cancello son di nuovo tutte vezzi e moine, e le chiedono: ""E che ti disse allora la tua mamma ?"
"Mi disse che potete prendervela, quella roba."
"E allora vieni, vieni che sei tu la roba che vogliamo!" le urlano in coro quelle maledette e le saltano addosso e se la portano in casa in quattro e quattr'otto!
Urli senza fine, questa bambina: lo credo io!
- «Oh Dio, mi son tradita! Ora la mia bimba dolce l'é perduta! Ahi, Prezzemolia mia, la mia bambina!» - E si mise a letto dal gran dolore.
Intanto la Prezzemolina era nella casa delle signore dell'orto, bellissima.
Si stava consolando a guardar quelle altre meraviglie, che scendono la scala tre fate, tutte scapigliate perché si stavano pettinando e avevano ancora il pettine in mano. Aproeno una porta e le dicono :
- «Su , Prezzemolina, vien qua, la vedi questa stanza nera nera? Noi la ci teniamo il carbone, la brace, e ora deve esser pulita. Come si torna, la deve essere tutta bianca come il latte e dipinta con tutti gli uccelli dell'aria, altrimenti, altrimenti noi sai che si fa? Ti si... mangia!» -
Come volete che la facesse questa bambina? Le vanno via quelle maledette e la bambina si mette a piangere, piangi ch'io piango, singhiozzando, e non si poteva chetare.
Dunque picchiano alla porta: lei va a vedere e crede che sian le fate; apre e vede Memè, che era il loro cugino.
«Che hai tu, Prezzemolina, che tu piangi?» dice
- «Piangereste anche voi» - risponde la bambina - «Vedete questa stanza? Quando tornano le mie signore, da nera così dev'esser bianca e dipinta di tutti gli uccelli dell'aria, altrimenti quelle mi mangiano.» -
«Se tu mi dài un bacio» - dice allora Memè, - «te la imbianco io in un momento questa stanzaccia e, a tutti gli uccelli del cielo, ci aggiungo quelli del paradiso!» -
Ma la Prezzemolina era una bimba furba e prudente e dice, tutta sostenuta :
- «Preferisco dalle fate esser mangiata che da un uomo esser baciata!» -
Dice il Memè: - «L'hai detto tanto benino che meriti la grazia!» -
Batte la bacchettina e diviene la stanza tutta bianca e tutta uccelli, come avevan detto lquelle.
Dunque Memè va via e tornano le fate; dicono:
- «L'hai fatto, Prezzemolina?» -
«Sissignore, vengano a vedere.» -
Le fate le si guardano in viso tutte esterefatte:
- «Eh, Prezzemolina, c'è stato qui Memé, per caso?» -
Ma la furbetta risponde pronta :«Non conosco alcun Memè, nè la mia bella mamma che mi fè!» -
Dunque la mattina dopo le fate nell'orto si inquietano:
- «Come si fa?» - dicono - «Qua non ci riesce di mangiarla.»
"Aspetta me!" dice una che l'aveva tutti i capelli ricciolini color pisello -" Ora le dico una cosa e poi così ce la mangiamo...»
- «Prezzemolina! Prezzemolina!»- chiama
«Cosa comandano?» -
- «Domani mattina devi andare dalla fata Morgana e devi dire la ti dia la scatola del Bel-Giullare.»
- «Sissignore» - risponde la Prezzemolina .
Eccoti la mattina la si mette in viaggio, la ragazza. E viaggia.
Cammina, cammina, incontra una vecchia donna .
- «E dove vai» - la dice - «bella bambina?» -
«Vado dalla fata Morgana a prendere la scatola del Bel-Giullare.»
- Ma ti mangerà, sai, poverina?»
- «Meglio per me» - dice - «così la sarà finita.» -
«Tieni» - dice la vecchia- «queste due pentole di lardo. A casa del Bel Giullare tu troverai due porte che si battono insieme. Ungile tutte e tu vedrai che ti lascian passare.» -
Eccoti la bambina davanti alla casa: vede queste porte e le unge tutte da capo a piede e loro la lascian passare, gua'. ffffffff....
(continua a breve)
xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Approfondimenti:
L'incipit della versione di Italo Calvino:
(tratto da "Fiabe Italiane")
Francesca Matteoni:" Prezzemolina e i bambini delle fate"
www.griseldaonline.it/formazione/metamorfosi/matteoni.htm
La Prezzemolina della "Novellaja fiorentina" di Vittorio Imbriani:
E si vissero e si godettero e in pace sempre stettero e a me nulla mi dettero."
Era na vota na femmena prena chiammata Pascadozia, la quale, affacciatose a na fenestra che sboccava a no giardino de n’orca, vedde no bello quatro de petrosino, de lo quale le venne tanto golio che se senteva ascievolire; tanto che, non potenno resistere, abistato quanno scette l’orca, ne cogliette na vrancata. Ma, tornata l’orca a la casa e volenno fare la sauza, s’addonaie ca ’nc’era menata la fauce e disse:
«Me se pozza scatenare lo cuollo si nce ’mmatto sto maneco d’ancino e non ne lo faccio pentire, azzò se ’mpara ogne uno a magnare a lo tagliero suio e no scocchiariare pe le pigniate d’autre».
Ma continovanno la povera prena a rescendere all’uorto, nce fu na matina ’mmattuta da l’orca, la quale, tutta arraggiata e ’nfelata, le disse:
«Aggiotence ’ncappata, latra mariola! E che ne paghe lo pesone de sto uorto, che viene co tanta poca descrezzione a zeppoliare l’erve meie? Affé, ca non te mannarraggio a Romma pe penetenzia!».
Pascadozia negrecata commenzaie a scusarese, decenno ca no pe cannarizia o lopa c’avesse ’n cuorpo l’aveva cecato lo diascance a fare st’arrore, ma ped essere prena e dubetava che la facce de la criatura non nascesse semmenata de petrosine; anze deveva averele grazia che no l’avesse mannato quarche agliarulo.
«Parole vo’ la zita! – respose l’orca – non me nce pische co sse chiacchiare! Tu hai scomputo lo staglio de la vita si non prommiette de dareme la criatura che farrai, o mascolo o femmena che se sia».
La negra Pascadozia, pe scappare lo pericolo dove se trovava, ne joraie co na mano ’ncoppa all’autra e cossì l’orca la lassaie scapola. Ma, venuto lo tiempo de partorire, fece na figliola cossì bella, ch’era na gioia, che pe avere na bella cimma de petrosino ’m pietto la chiammaie Petrosinella; la quale, ogne iuorno crescenno no parmo, comme fu de sette anne la mannaie a la maiestra. La quale sempre che ieva pe la strata, e se scontrava coll’orca, le deceva:
«Di’ a mammata che se allecorde de la ’mprommessa!».
E tanta vote fece sto taluerno che la scura mamma, non avenno cchiù cellevriello de sentire sta museca, le disse na vota:
«Si te scuntre co la solita vecchia e te cercarrà sta mardetta prommessa e tu le respunne: Pigliatella!».
Petrosinella, che non sapeva de cola, trovanno l’orca e facennole la stessa proposta, le respose ’nnocentemente comme l’aveva ditto la mamma e l’orca, afferratala pe li capille, se ne la portaie a no vosco dove non trasevano mai li cavalle de lo Sole pe n’essere affedate a li pascole de chell’ombre, mettennola drinto a na torre che fece nascere ped arte, senza porte, né scale, sulo co no fenestriello, pe la quale pe li capille de Petrosinella, ch’erano luonghe luonghe, saglieva e scenneva, comme sole batto de nave pe le ’nsarte dell’arvolo.
Ora soccesse ch’esseno fora de chella torre l’orca, Petrosinella cacciato la capo fora de chillo pertuso e spaso le trezze a lo sole, passaie lo figlio de no prencepe, lo quale, vedenno doie bannere d’oro che chiammavano l’arme ad assentarese a lo rollo d’Ammore e miranno drinto a chelle onne preziose na facce de Serena che ’ncantava li core, se ’ncrapecciaie fora de mesura de tanta bellezze; e, mannatole no memmoriale de sospiri, fu decretato che se l’assentasse la chiazza a la grazia soia.
E la mercanzia rescì de manera che lo prencepe appe calate de capo a vasate de mano, uocchie a zennariello a leverenzie, rengraziamiente ad afferte, speranze a prommesse e bone parole a liccasalemme. La quale cosa continuata pe cchiù juorne s’addomestecaro de manera che vennero ad appontamiento de trovarese ’nsiemme. La quale cosa doveva essere la notte – quanno la Luna joqua a passara muta co le stelle – ch’essa averria dato l’addormio all’orca e ne l’averria aisato co li capille.
E cossì restate de commegna, venne l’ora appontata e lo prencepe se consignaie a la torre, dove, fatto calare a sisco le trezze de Petrosinella e afferratose a doi mano, disse: Aisa! E tirato ’ncoppa, schiaffatose pe lo fenestriello drinto la cammara, se fece no pasto de chillo petrosino de la sauza d’Ammore e – ’nante che lo Sole ’mmezzasse li cavalle suoie a sautare pe lo chirchio de lo Zodiaco – se ne calaie pe la medesema scala d’oro a fare li fatte suoie. La quale cosa continuanno spesse vote a fare, se n’addonaie na commare dell’orca, la quale, pigliannose lo ’mpaccio de lo Russo, voze mettere lo musso a la merda, e disse a l’orca che stesse ’n cellevriello, ca Petrosinella faceva l’ammore co no cierto giovane e sospettava che non fossero passate cchiù ’nnanze le cose, perché vedeva lo moschito e lo trafeco che se faceva, e dobetava che, fatto no leva eio, non fossero sfrattate ’nnante maio de chella casa.
L’orca rengraziaie la commare de lo buono avvertemiento e disse ca sarria stato penziero suio de ’mpedire la strata a Petrosinella; otra che non era possibile che fosse potuto foire ped averele fatto no ’ncanto, che si n’avea ’n mano tre gliantre nascose drinto a no travo de la cocina era opera perza che potesse sfilarennella. Ma, mentre erano a sti ragiunamiente, Petrosinella, che steva co l’aurecchie appezzute ed aveva quarche sospetto de la commare, ’ntese tutto lo trascurzo, e – comme la Notte spase li vestite nigre perché se conservassero da le carole – venuto a lo solito lo prencepe lo fece saglire ’ncoppa li trave e, trovate le gliantre, le quale sapenno comme se l’avevano da adoperare, ped essere stata fatata dall’orca, fatto na scala de fonecella se ne scesero tutte duie a bascio, e commenzaro a toccare de carcagne verzo la cetate.
Ma, essenno viste a lo scire da la commare, commenzaie a strillare chiammanno l’orca e tanto fu lo strillatorio che se scetaie e, sentenno ca Petrosinella se n’era foiuta, se ne scese pe la medesima scala ch’era legata a lo fenestriello e commenzaie a correre dereto li ’nnamorate. Li quale, comme la veddero venire cchiù de no cavallo scapolo a la vota lloro, se tennero perdute. Ma, lecordannose Petrosinella de le tre gliantre, ne iettaie subito una ’n terra ed eccote sguigliare no cane corzo cossì terribile – c’oh mamma mia! –; lo quale co tanto de canna aperta abbaianno ieze ’ncontra all’orca pe se ne fare no voccone. Ma chella, ch’era chiù maliziosa de parasacco, puostose mano a la saccocciola ne cacciaie na panella e, datola a lo cane, le fece cadere la coda e ammosciare la furia.
E, tornato a correre dereto chille che foievano, Petrosinella, vistola avvecenare, jettaie la seconna gliantra ed ecco scire no feroce lione, che, sbattenno la coda ’nterra e scotolanno li crine, co dui parme de cannarone spaparanzato s’era puosto all’ordene de fare scafaccio de l’orca. E l’orca, tornanno arreto, scortecaie n’aseno che pasceva ’mmiezo a no prato, e, puostose la pella ’ncoppa, corze de nuovo ’ncontra a chillo lione, lo quale, credennose che fosse no ciuccio, appe tanta paura ch’ancora fuie.
Pe la quale cosa, sautato sto secunno fuosso, l’orca tornaie a secotare chille povere giuvane, che, sentenno lo scarponeiare e vedenno la nuvola de la porvere che s’auzava a lo cielo, conjetturaro ca l’orca se ne veneva de nuovo. La quale, avenno sempre sospetto che no la secotasse lo lione, non se aveva levato la pelle dell’aseno ed, avenno Petrosinella jettato la terza gallozza, ne scette no lupo, lo quale, senza dare tiempo all’orca de pigliare nuovo partito, se la ’nnorcaie comm’a n’aseno. E li ’nammorate, scenno de ’mpaccio, se ne iettero chiano chiano a lo regno de lo prencepe, dove, co bona lecenzia de lo patre, se la pigliaie pe mogliere e provâro dapo’ tante tempeste de travaglie che: n’ora di buon puorto /fa scordare ciento anne de fortuna».
(da "Lo Cunto de li Cunti")
www.angelodimauro.it:
"Le Teresinelle nel parco" (Petrosinella/Prezzemolina, Cenerentola & tutte le altre attraverso le narrazioni dei contadini di Somma Vesuviano)
Una "Prezzemolina" sulla scana: