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"Il fantastico è il linguaggio dell’io interiore.Non pretenderò altro per la narrativa fantastica che dire che la ritengo il linguaggio adatto a raccontare storie ai bambini ed a altri. Ma lo affermo con sicurezza perché ho dietro di me l’autorità di un grandissimo poeta, che lo ha detto in modo molto più audace: “Il grande strumento del bene morale – ha detto Shelley – è la fantasia.”

Ursula Le Guin

sabato 19 giugno 2010

La Prezzemolina della mia nonna toscana ( + gli approfondimenti e le versioni di Basile, dell'Imbriani e di Calvino),






C'erano una volta un marito e una moglie in una bella casina, di cui una finestra dava sull'orto delle meraviglie che apparteneva a delle fate.
Ora dovete sapere che questa moglie aspettava un bambino e così un bel giorno di primavera s'affaccia alla finestra per rallegrarsi del verde smeraldino e respirar l'aria pura e vede... vede un prato di prezzemolo, ma un prato di prezzemolo... insomma, non sto a dirvi: il più bello! Non poteva resistere di certo per la voglia che l'era venuta all'improvviso di papparselo! Attese allora di vedere andar via le signore fate, come ogni giorno usavano, a farsi una passeggiatina sul corso, prese una scala di seta, si calò giù e si mise a mangiarsi il prezzemolo a tutto spiano. Mangia, mangia, finché poi si fa tardi e "Se tornassero le fate?" pensa la donna . Così risale per la scala, chiude la finestra e via! Poi ogni giorno si mette a far così perché non ne poteva proprio fare a meno!.
Un giorno, le fate passeggiavano in giardino e:
"Ditemi un po', care sorelle,'" disse la più bella, che l'aveva i capelli tutti come fili d' oro fino "non vi par che manchi del prezzemolo?"
"E ne manca anche tanto!"Le risposero in coro le altre, tutte preoccupate "Povere noi! Qui, c'è sotto lo zampino d'un ladro! E che si fa se il nostro orto delle meraviglie s'impoverisce? O che figura ci facciamo poi con le altre fate?"
"Ve lo dico io che si fa, carine,"dice la più furbetta che l'aveva i capelli rossi proprio come fiamma accesa "Usciremo tutte fuori, come per farci la nostra solita passeggiata sul corso, ma una di noi invece se ne starà nascosta dietro la siepe di bosso; sicché, se c'è qualcuno che viene a mangiare, lo vede e poi lo pigliamo."
Detto, fatto: una delle fate rimase fuori a far la posta e le altre a passeggiare .


Quelle svoltano l'angolo e la nostra donna, che sbirciava dalla finestra, scende giù lesta per mangiare, e mangia; poi, proprio mentre stava per ritornarsene su per la scaletta, la fata che l'era nascosta salta fuori dal bosso e le si para dinnanzi tutta furibonda, tanto che le trecce viola le schiocchiavano attorno come serpi:
"Oh briccona, briccona!" dice, "T'ho scoperta, eh?"
"Abbiate pazienza." dice quella poverina, che non se l'aspettava, "Io sono gravida, cara la mia signora, e avevo questa voglia...".
"Ebbene" dice la fata, "ti perdono. Ma senti, si fa un patto: se ti nasce un bambino, dovrai chiamarlo Prezzemolino, se sarà bambina, le darai nome Prezzemolina; comunque, quando sarà grande, ce lo prenderemo noi, maschio o femmina che sia! Sarà nostro, via, noi non abbiamo bambini, e tu te ne puoi fare un altro!"


Figuratevi quella poveretta! Proruppe in un pianto a dirotto che non si poteva più consolare e piangendo, diceva: "Malandrina la mia gola, mi sei costata assai!"
Anche il marito, quando lo seppe (ché lei non si era sentita di nascondergli il fattaccio), non smetteva più di rimproverarla: - «Golosaccia! Hai visto che succede, a rubar prezzemolo?"
Poi partorì una bambina ch'era proprio bellina, bellina, e la chiamarono Prezzemolina. Le fate non si fecero punto vive, neppure per le congratulazioni o il corredino, e lei dopo un po' pensò che forse l'era stato tutto uno scherzo, per farle smettere di rubare nell'orto, appunto, così si rassicurò e, alla fine, persino ne domenticò.


Ma quando Prezzemolina fu grandicella, la si mandò a scuola come gli altri bambini e
, mentre passava davanti al cancello dell'orto, le fate sbucarono fuori e le fecero complimenti e mille vezzi, poi le dissero:
"Bambina, dì alla tua mamma, che si ricordi di quella roba."
In casa la donna era tutta in faccende,;la bambina entra e le dice: "Vi dicono le signore dell'orto di non scordarvi quella cosa."
Quella cucinava e le risponde "Non mi seccare che sto facendo la ribollita"
"Ma mamma, tu non mi ascolti..." dice Prezzemolina "le signore qui accanto, che son tanto gentili vogliono una risposta"
E la mamma che era sovrappensiero, le fa: "Dì loro che se la prendano!"
Il giorno dopo la bimba va a scuola e poi torna, e le fate al cancello son di nuovo tutte vezzi e moine, e le chiedono: ""E che ti disse allora la tua mamma ?"
"Mi disse che potete prendervela, quella roba."
"E allora vieni, vieni che sei tu la roba che vogliamo!" le urlano in coro quelle maledette e le saltano addosso e se la portano in casa in quattro e quattr'otto!

Urli senza fine, questa bambina: lo credo io!


Lasciamo questa bambina e torniamo alla madre, che passan ore e non la vede tornare. La si ricorda d'aver detto alla figlia che la prendino quella roba:
- «Oh Dio, mi son tradita! Ora la mia bimba dolce l'é perduta! Ahi, Prezzemolia mia, la mia bambina!» - E si mise a letto dal gran dolore.
Intanto la Prezzemolina era nella casa delle signore dell'orto, bellissima.
Si stava consolando a guardar quelle altre meraviglie, che scendono la scala tre fate, tutte scapigliate perché si stavano pettinando e avevano ancora il pettine in mano. Aproeno una porta e le dicono :
- «Su , Prezzemolina, vien qua, la vedi questa stanza nera nera? Noi la ci teniamo il carbone, la brace, e ora deve esser pulita. Come si torna, la deve essere tutta bianca come il latte e dipinta con tutti gli uccelli dell'aria, altrimenti, altrimenti noi sai che si fa? Ti si... mangia!» -
Come volete che la facesse questa bambina? Le vanno via quelle maledette e la bambina si mette a piangere, piangi ch'io piango, singhiozzando, e non si poteva chetare.
Dunque picchiano alla porta: lei va a vedere e crede che sian le fate; apre e vede Memè, che era il loro cugino.


«Che hai tu, Prezzemolina, che tu piangi?» dice
- «Piangereste anche voi» - risponde la bambina - «Vedete questa stanza? Quando tornano le mie signore, da nera così dev'esser bianca e dipinta di tutti gli uccelli dell'aria, altrimenti quelle mi mangiano.» -
«Se tu mi dài un bacio» - dice allora Memè, - «te la imbianco io in un momento questa stanzaccia e, a tutti gli uccelli del cielo, ci aggiungo quelli del paradiso!» -
Ma la Prezzemolina era una bimba furba e prudente e dice, tutta sostenuta :
- «Preferisco dalle fate esser mangiata che da un uomo esser baciata!» -
Dice il Memè: - «L'hai detto tanto benino che meriti la grazia!» -
Batte la bacchettina e diviene la stanza tutta bianca e tutta uccelli, come avevan detto lquelle.
Dunque Memè va via e tornano le fate; dicono:
- «L'hai fatto, Prezzemolina?» -
«Sissignore, vengano a vedere.» -
Le fate le si guardano in viso tutte esterefatte:
- «Eh, Prezzemolina, c'è stato qui Memé, per caso?» -
Ma la furbetta risponde pronta :«Non conosco alcun Memè, nè la mia bella mamma che mi fè!» -

Dunque la mattina dopo le fate nell'orto si inquietano:
- «Come si fa?» - dicono - «Qua non ci riesce di mangiarla.»
"Aspetta me!" dice una che l'aveva tutti i capelli ricciolini color pisello -" Ora le dico una cosa e poi così ce la mangiamo...
»
- «Prezzemolina! Prezzemolina!»- chiama
«Cosa comandano?» -
- «Domani mattina devi andare dalla fata Morgana e devi dire la ti dia la scatola del Bel-Giullare.»



- «Sissignore» - risponde la Prezzemolina .
Eccoti la mattina la si mette in viaggio, la ragazza. E viaggia.
Cammina, cammina, incontra una vecchia donna .
- «E dove vai» - la dice - «bella bambina?» -
«Vado dalla fata Morgana a prendere la scatola del Bel-Giullare.»
- Ma ti mangerà, sai, poverina?»
- «Meglio per me» - dice - «così la sarà finita.» -
«Tieni» - dice la vecchia- «queste due pentole di lardo. A casa del Bel Giullare tu troverai due porte che si battono insieme. Ungile tutte e tu vedrai che ti lascian passare.» -
Eccoti la bambina davanti alla casa: vede queste porte e le unge tutte da capo a piede e loro la lascian passare, gua'. ffffffff
....






(continua a breve)


xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Approfondimenti:

L'incipit della versione di Italo Calvino:
“C'era una volta marito e moglie che stavano in una bella casina. E questa casina aveva una finestra che dava sull'orto delle fate. La donna aspettava un bambino, e aveva voglia di prezzemolo. S'affaccia alla finestra e nell'orto delle fate vede tutto un prato di prezzemolo. Aspetta che le fate siano uscite, prende una scala di seta e cala nell'orto. Fatta una bella scorpacciata di prezzemolo, risale per la scala di seta e chiude la finestra. L'indomani, lo stesso. Mangia oggi, mangia domani, le fate, passeggiando nel giardino, cominciarono ad accorgersi che il prezzemolo era quasi tutto andato. "Sapete cosa facciamo?" disse una delle fate. "Fingiamo d'essere uscite tutte, e una di noi invece resterà nascosta. Così vedremo chi viene a rubare il prezzemolo." Quando la donna scese nell'orto, ecco che saltò fuori una fata. "Ah, briccona! T'ho scoperta finalmente!" "Abbiate pazienza," disse la donna "ho voglia di prezzemolo perchè aspetto un bambino..." "Ti perdoniamo," disse la fata. "Però se avrai un bambino gli metterai nome Prezzemolino, se avrai una bambina le metterai nome Prezzemolina. E appena sarà grande, bambino o bambina che sia, lo prenderemo con noi!"
(tratto da "Fiabe Italiane")

Francesca Matteoni:" Prezzemolina e i bambini delle fate"
www.griseldaonline.it/formazione/metamorfosi/matteoni.htm


La Prezzemolina della "Novellaja fiorentina" di Vittorio Imbriani:

"C'era una volta marito e moglie. E la sua finestra, di questo marito e moglie, rimaneva sull'orto delle fate. Questa donna era incinta. Un bel giorno s'affaccia alla finestra, e vede un prato di prezzemolo, il più bello! Lei sta attenta che le fate le vadan via, prende la scala di seta e si cala e si mette a mangiare il prezzemolo a tutto spiano. Mangia, mangia, poi la risale la scala, serra la sua finestra e via! Ogni giorno faceva questa storia. Un giorno le fate passeggiavano in giardino: - «E dimmi» - dice la più bella - «non ti pare che manchi del prezzemolo?» - Dicono le altre: - «E forse poco ne manca! Sai quel che si farà? Si figurerà di andare fòri tutte; e una si rimarrà niscosta; perchè qui c'è qualcheduno che viene a mangiare.» - Le fate le figurano di andar via tutte e la donna si cala a mangiare. Quando l'è per ritornare in su, la fata gli sorte di dietro: - «Oh briccona» - dice - «ora ti ho scoperta, eh?[2]» - «Abbiate pazienza» - dice questa donna - «io sono gravida; avevo questa voglia....» - «Ebbene» - dice la fata - «Ti sia perdonato. Senti, se tu fai un bambino, tu gli hai a mettere nome Prezzemolino; se tu hai una bambina, Prezzemolina; e, come è grande, la si vol noi: è per noi, via, non è più tua.» - Figuratevi questa donna! un dirotto pianto, dicendo: - «Malandrina la mia gola, la mi è costata assai!» - Dal marito era sempre rimproverata: - «Golaccia! l'hai visto?» - La partorisce la bambina e gli mette nome Prezzemolina; e quando l'è grandettina, la la manda a scuola. Le fate, tutti i giorni che la passava, gli dicevano: - «Bambina, dì alla mamma, che la si ricordi di quella roba.» - «Mamma» - dice la Prezzemolina - «hanno detto le fate che vo' vi ricordiate di quella cosa.» - Un giorno la donna era sopraffatta; torna la bambina e gli dice: - «Vi dicono le fate che vi ricordiate quella cosa.» - Risponde: - «Sì, dì che se la piglino.» - La bambina la va a scola. Dicono le fate: - «Cosa ti disse la mamma ieri sera? - «Mi disse che la possin prendere, che la prendino quella roba.» - «Oh vieni, sei te quella roba che si deve prendere.» - Urli senza fine, questa bambina: lo credo io! Lasciamo questa bambina e torniamo alla madre, che passan ore e non la vede tornare. La si ricorda d'aver detto che la prendino quella roba: - «Oh, mi son tradita! Ora addietro non si torna.» - Dunque queste fate le dicono alla bambina: - «Sai, Prezzemolina, la vedi questa stanza nera nera?» - le ci tenevano il carbone, la brace. - «Come si torna, la deve essere tutta bianca come il latte e dipinta con tutti gli uccelli dell'aria, altrimenti noi ti si mangia.» - Come volete che la facesse questa bambina? Le vanno via e la bambina si mette a piangere, piangi ch'io piango, singhiozzando; non si poteva chetare. Dunque l'è picchiato: lei va a vedere e crede che le sian le fate; apre e vede Memè, che gli era un cugino delle fate.[3] - «Che hai tu, Prezzemolina, che tu piangi?» - «Vo' piangereste anche voi» - dice. - «Vedete questa stanza? Quando le torna, le torna le mamme, di nera così dev'esser bianca e dipinta di tutti gli uccelli dell'aria, altrimenti le mi mangiano.» - «Se tu mi dài un bacio» - dice Memè, - «te la fo nel momento questa stanza.» - Lei dice: - «Piuttosto dalle fate esser mangiata, che da un omo esser baciata.» - Dice Memè: - «Tu hai detto tanto benino! ti voglio far la grazia.» - Batte la bacchettina e divien la stanza tutta bianca, tutta uccelli, come avevan detto le mamme. Dunque Memè va via e torna le fate. Dice: - «L'hai fatto, Prezzemolina?» - «Sissignora, vengano a vedere.» - Le si guardano in viso: - «Eh, Prezzemolina, c'è stato Memè!» - «Non conosco Memè, nè la mia bella mamma che mi fè.» - Dunque la mattina: - «Come si fa?» - dicono - «non ci riesce di mangiarla.» - «Prezzemolina!» - «Cosa comandano?» - E allora gli dicono: - «Domani mattina devi andare dalla fata Morgana e devi dire la ti dia la scatola del Bel-Giullare.» - «Sissignore» - la dice. Eccoti la mattina la si mette in viaggio, la ragazza. E viaggia. Cammina, cammina, la trova una donna. - «E dove vai» - la dice - «bella bambina?» - «Vado dalla fata Morgana a prendere la scatola del Bel-Giullare.» - La ti mangerà, sai, poerina?» - «Meglio per me» - dice - «così la sarà finita.» - «Tieni» - dice la donna - «queste due pentole di lardo. Tu troverai due porte che si battono insieme. Ungile tutte, e tu vedrai che ti lascian passare.» - Eccoti la bambina la giunge a queste porte e le unge tutte da capo a piede e loro la lascian passare, gua'. Dopo che l'ha camminato un pezzo, la trova un'altra donnina. E la gli dice lo stesso: - «Dove tu vai, bambina?» - Dice: - «Vado dalla fata Morgana per la scatola del Bel-Giullare.» - «Poerina, la ti mangerà, sai?» - «Meglio per me, così la sarà finita.» - «Tieni questi due pani, tu troverai due cani che si mordono l'un con l'altro. Buttagnene uno per uno: così tu passi,» - dice. Eccoti la Prezzemolina la trova questi due cani; la gnene butta uno per uno, e loro la lascian passare. Quando l'ha fatto un altro pezzo di strada, la trova un'altra donnina. Gli dice: - «Dove vai?» - «Dalla fata Morgana per la scatola del Bel-Giullare.» - «Poerina, la ti mangerà, sai?» - «Meglio per me, così la sarà finita.» - «Tu troverai un ciabattino che si strappa la barba per cucire e i capelli. Tieni, questo è spago per cucire, questa è lesina: tutto il necessario. Dagnene e lui ti lascerà passare.» - Eccoti la bambina la trovava questo ciabattino. Quando la gli dà tutta questa roba, lui la ringrazia e la lascia passare. Fatto un altro pezzo di strada, la trova l'istessa donnina e gli dice l'istesso: - «Bada, la ti mangerà sai?» - «Meglio per me, così la sarà finita.» - «Troverai una fornaja che spazza il forno con le mani: la si brucia tutta. Tieni: questi son cenci, queste sono spazzole; tutto il necessario. Tu vedrai, la ti lascia passare. Dopo poco tu troverai una piazza: quel bel palazzo che c'è, gli è codesto la fata Morgana. Tu picchi, e la scatola del Bel-Giullare, gli è dopo che tu hai salito due scale. Lei, quando tu picchi, la ti dirà: Aspetta bambina; aspetta un poco. Te, tu sali, prendi la scatola e vien via.» - Eccoti la bambina la trova questa fornaja. Quando la gli dà tutta questa roba, lei la ringrazia e la lascia passare. La picchia, la sale, la prende la scatola e la scappa via. La fata che sente serrar l'uscio, la s'affaccia alla finestra e vede la bambina che scappa via. - «O fornaja, che spazzate il forno con le mani, tenetemela, tenetemela.» - «Se fossi minchiona! Dopo tanti anni, che fatico, la mi ha dato i cenci e la spazzola! Passa, poerina, vai, vai!» - «O ciabattino, che cucite con la barba e vi strappate i capelli, tenetemela, tenetemela!» - «O io sì, che sarò un minchione! Dopo tant'anni, ch'io fatico, la mi ha portato tutto il necessario. Vai, vai, poerina.» - «O cani che vi mordete tanto, tenetemela, tenetemela!» - «O noi sì, che saremo minchioni! La ci ha dato un pane per uno! Vai, vai, poerina!» - «O porte, che vi battete tanto, tenetemela, tenetemela!» - «Oh noi sì, che saremo minchione! La ci ha unte da capo a piedi! Vai, vai poerina.» - E la fanno passare.[4] Quando l'è libera, la dice: - «Che ci sarà egli in questa scatola?» - La trova una piazza, la si mette a sedere e apre la scatola. Esce fori persone, persone, persone, persone: gli escono da questa scatola; che cantavano, che sonavano, tutte. Figuratevi la disperazione di questa bambina. Lei le voleva rimettere in questa scatola: ne prendeva una e ne scappava dieci. La si mette a piangere, potete credere! Eccoti Memè. - «Briccona, l'hai visto quel che t'hai fatto?» - «Oh! voleva vedere...» - «Eh» - dice Memè, - «ora non c'è rimedio. Se tu mi dài un bacio, io ti rimedio.» - «Meglio dalle fate esser mangiata, che da un omo esser baciata.» - «Sai? tu l'hai detto tanto benino, che ti vo' far la grazia.» - Batte la bacchettina e ritorna tutta la scatola come prima: serrata come l'era. La Prezzemolina va là a casa e picchia. - «Oh dio!» - dice - «È la Prezzemolina. Come mai non l'ha mangiata, la fata Morgana?» - Dice: - «Felice giorno» - la dice la bambina - «Ecco la scatola.» - Dicono le mamme: - «Che t'ha ella detto la fata Morgana?» - «La me l'ha data e m'ha detto: Fagli tanti saluti.» - «Eh» - dicono le fate - «abbiamo bell'e inteso! bisognerà mangiarla noi. Stasera, come viene Memè, gli si dice che la si deve mangiare.» - Eccoti la sera vien Memè: - «Sai?» - gli dicono - «la non l'ha mangiata, la Prezzemolina; la s'ha da mangiar noi.» - «Oh bene!» - dice lui - «oh bene!» - «Domani, quando l'ha fatte le sue faccende, gli si fa mettere al foco le caldaje, quelle grandi che si fa il bucato. E quando le bollan bene, in tutte e quattro la si butta dentro a cocere.» - Lui dice: - «Bene, bene, sì, sì; riman fissato così.» - Eccoti la mattina le vanno via loro e non dicon nulla; le vanno via come eran solite. Quando le sono ite, ite via, eccoti Memè dalla Prezzemolina: - «Sai» - dice - «oggi, a un'ora, le ti ordineranno di mettere al foco le caldaje, quelle grandi del bucato. E, quando le bollan bene, le ti diranno, chiamaci; le ti dicono: diccelo. E le ti buttan te a cocere dentro. E invece noi s'ha a guardare se ci si butta loro.» - Eccoti Memè va via e dopo poco tornan le fate: - «Sai» - dice - «Prezzemolina, quando s'è pranzato oggi, che t'hai fatte tutte le faccende, metti le caldaje, quelle del bucato, che si fa il bucato; e quando le bollan bene, chiamaci.» - Quando l'ha finite tutte le sue faccende, la mette tutte queste caldaje. Le dicono: - «Fa gran foco.» - La fa foco, figuratevi, anche di più di quel che gli avevan detto. Picchia Memè: - «Oh!» - dice - «ora ora la s'ha a mangiare!» - e si fregava le mani. - «Oh» - dicono - «altro!» - Eccoti l'acqua quando la bolle, Prezzemolina la dice: - «Mamme, le venghino a vedere; l'acqua la bolle.» - Le fate le vanno a vedere lì alla caldaja se la bolle. Dice: - «Coraggio!» - alla Prezzemolina; gli dice Memè. Lui ne acchiappa due e le mette dentro; lei prende quell'altre e le butta; e bolli, bolli, bolli, finchè non fu staccato il collo non le levorno: sempre a bollire! - «Ora poi siamo padroni di tutto, la me' bambina. Vieni con me.» - La conduce giù in cantina, dove c'era una infinità di lumi e c'era quello della fata Morgana, grosso, grande; quello gli era il più grosso di tutti. La maggiore delle fate! La sua anima, gli era un lume. Spenti che gli erano, le eran morte tutte, ecco! - «Spengi di costì e io spengo di questa parte.» - Così li spensero tutti e rimasero padroni di ogni cosa.[5] Andiedero lassù nel posto della fata Morgana. Il ciabattino ne fecero un signore; la fornaja parimente; i cani li portarono nel suo palazzo; e le porte le lasciarono stare e le facevano ungere. - «Te» - dice Memè - «sarai la mia sposa; questo è giusto.» -
E si vissero e si godettero e in pace sempre stettero e a me nulla mi dettero."


L?Archetipo: la "Petrosinella" di Giambattista Basile:

Era na vota na femmena prena chiammata Pascadozia, la quale, affacciatose a na fenestra che sboccava a no giardino de n’orca, vedde no bello quatro de petrosino, de lo quale le venne tanto golio che se senteva ascievolire; tanto che, non potenno resistere, abistato quanno scette l’orca, ne cogliette na vrancata. Ma, tornata l’orca a la casa e volenno fare la sauza, s’addonaie ca ’nc’era menata la fauce e disse:

«Me se pozza scatenare lo cuollo si nce ’mmatto sto maneco d’ancino e non ne lo faccio pentire, azzò se ’mpara ogne uno a magnare a lo tagliero suio e no scocchiariare pe le pigniate d’autre».

Ma continovanno la povera prena a rescendere all’uorto, nce fu na matina ’mmattuta da l’orca, la quale, tutta arraggiata e ’nfelata, le disse:

«Aggiotence ’ncappata, latra mariola! E che ne paghe lo pesone de sto uorto, che viene co tanta poca descrezzione a zeppoliare l’erve meie? Affé, ca non te mannarraggio a Romma pe penetenzia!».

Pascadozia negrecata commenzaie a scusarese, decenno ca no pe cannarizia o lopa c’avesse ’n cuorpo l’aveva cecato lo diascance a fare st’arrore, ma ped essere prena e dubetava che la facce de la criatura non nascesse semmenata de petrosine; anze deveva averele grazia che no l’avesse mannato quarche agliarulo.

«Parole vo’ la zita! – respose l’orca – non me nce pische co sse chiacchiare! Tu hai scomputo lo staglio de la vita si non prommiette de dareme la criatura che farrai, o mascolo o femmena che se sia».

La negra Pascadozia, pe scappare lo pericolo dove se trovava, ne joraie co na mano ’ncoppa all’autra e cossì l’orca la lassaie scapola. Ma, venuto lo tiempo de partorire, fece na figliola cossì bella, ch’era na gioia, che pe avere na bella cimma de petrosino ’m pietto la chiammaie Petrosinella; la quale, ogne iuorno crescenno no parmo, comme fu de sette anne la mannaie a la maiestra. La quale sempre che ieva pe la strata, e se scontrava coll’orca, le deceva:

«Di’ a mammata che se allecorde de la ’mprommessa!».

E tanta vote fece sto taluerno che la scura mamma, non avenno cchiù cellevriello de sentire sta museca, le disse na vota:

«Si te scuntre co la solita vecchia e te cercarrà sta mardetta prommessa e tu le respunne: Pigliatella!».

Petrosinella, che non sapeva de cola, trovanno l’orca e facennole la stessa proposta, le respose ’nnocentemente comme l’aveva ditto la mamma e l’orca, afferratala pe li capille, se ne la portaie a no vosco dove non trasevano mai li cavalle de lo Sole pe n’essere affedate a li pascole de chell’ombre, mettennola drinto a na torre che fece nascere ped arte, senza porte, né scale, sulo co no fenestriello, pe la quale pe li capille de Petrosinella, ch’erano luonghe luonghe, saglieva e scenneva, comme sole batto de nave pe le ’nsarte dell’arvolo.

Ora soccesse ch’esseno fora de chella torre l’orca, Petrosinella cacciato la capo fora de chillo pertuso e spaso le trezze a lo sole, passaie lo figlio de no prencepe, lo quale, vedenno doie bannere d’oro che chiammavano l’arme ad assentarese a lo rollo d’Ammore e miranno drinto a chelle onne preziose na facce de Serena che ’ncantava li core, se ’ncrapecciaie fora de mesura de tanta bellezze; e, mannatole no memmoriale de sospiri, fu decretato che se l’assentasse la chiazza a la grazia soia.

E la mercanzia rescì de manera che lo prencepe appe calate de capo a vasate de mano, uocchie a zennariello a leverenzie, rengraziamiente ad afferte, speranze a prommesse e bone parole a liccasalemme. La quale cosa continuata pe cchiù juorne s’addomestecaro de manera che vennero ad appontamiento de trovarese ’nsiemme. La quale cosa doveva essere la notte – quanno la Luna joqua a passara muta co le stelle – ch’essa averria dato l’addormio all’orca e ne l’averria aisato co li capille.

E cossì restate de commegna, venne l’ora appontata e lo prencepe se consignaie a la torre, dove, fatto calare a sisco le trezze de Petrosinella e afferratose a doi mano, disse: Aisa! E tirato ’ncoppa, schiaffatose pe lo fenestriello drinto la cammara, se fece no pasto de chillo petrosino de la sauza d’Ammore e – ’nante che lo Sole ’mmezzasse li cavalle suoie a sautare pe lo chirchio de lo Zodiaco – se ne calaie pe la medesema scala d’oro a fare li fatte suoie. La quale cosa continuanno spesse vote a fare, se n’addonaie na commare dell’orca, la quale, pigliannose lo ’mpaccio de lo Russo, voze mettere lo musso a la merda, e disse a l’orca che stesse ’n cellevriello, ca Petrosinella faceva l’ammore co no cierto giovane e sospettava che non fossero passate cchiù ’nnanze le cose, perché vedeva lo moschito e lo trafeco che se faceva, e dobetava che, fatto no leva eio, non fossero sfrattate ’nnante maio de chella casa.

L’orca rengraziaie la commare de lo buono avvertemiento e disse ca sarria stato penziero suio de ’mpedire la strata a Petrosinella; otra che non era possibile che fosse potuto foire ped averele fatto no ’ncanto, che si n’avea ’n mano tre gliantre nascose drinto a no travo de la cocina era opera perza che potesse sfilarennella. Ma, mentre erano a sti ragiunamiente, Petrosinella, che steva co l’aurecchie appezzute ed aveva quarche sospetto de la commare, ’ntese tutto lo trascurzo, e – comme la Notte spase li vestite nigre perché se conservassero da le carole – venuto a lo solito lo prencepe lo fece saglire ’ncoppa li trave e, trovate le gliantre, le quale sapenno comme se l’avevano da adoperare, ped essere stata fatata dall’orca, fatto na scala de fonecella se ne scesero tutte duie a bascio, e commenzaro a toccare de carcagne verzo la cetate.

Ma, essenno viste a lo scire da la commare, commenzaie a strillare chiammanno l’orca e tanto fu lo strillatorio che se scetaie e, sentenno ca Petrosinella se n’era foiuta, se ne scese pe la medesima scala ch’era legata a lo fenestriello e commenzaie a correre dereto li ’nnamorate. Li quale, comme la veddero venire cchiù de no cavallo scapolo a la vota lloro, se tennero perdute. Ma, lecordannose Petrosinella de le tre gliantre, ne iettaie subito una ’n terra ed eccote sguigliare no cane corzo cossì terribile – c’oh mamma mia! –; lo quale co tanto de canna aperta abbaianno ieze ’ncontra all’orca pe se ne fare no voccone. Ma chella, ch’era chiù maliziosa de parasacco, puostose mano a la saccocciola ne cacciaie na panella e, datola a lo cane, le fece cadere la coda e ammosciare la furia.

E, tornato a correre dereto chille che foievano, Petrosinella, vistola avvecenare, jettaie la seconna gliantra ed ecco scire no feroce lione, che, sbattenno la coda ’nterra e scotolanno li crine, co dui parme de cannarone spaparanzato s’era puosto all’ordene de fare scafaccio de l’orca. E l’orca, tornanno arreto, scortecaie n’aseno che pasceva ’mmiezo a no prato, e, puostose la pella ’ncoppa, corze de nuovo ’ncontra a chillo lione, lo quale, credennose che fosse no ciuccio, appe tanta paura ch’ancora fuie.

Pe la quale cosa, sautato sto secunno fuosso, l’orca tornaie a secotare chille povere giuvane, che, sentenno lo scarponeiare e vedenno la nuvola de la porvere che s’auzava a lo cielo, conjetturaro ca l’orca se ne veneva de nuovo. La quale, avenno sempre sospetto che no la secotasse lo lione, non se aveva levato la pelle dell’aseno ed, avenno Petrosinella jettato la terza gallozza, ne scette no lupo, lo quale, senza dare tiempo all’orca de pigliare nuovo partito, se la ’nnorcaie comm’a n’aseno. E li ’nammorate, scenno de ’mpaccio, se ne iettero chiano chiano a lo regno de lo prencepe, dove, co bona lecenzia de lo patre, se la pigliaie pe mogliere e provâro dapo’ tante tempeste de travaglie che: n’ora di buon puorto /fa scordare ciento anne de fortuna».
(da "Lo Cunto de li Cunti")

www.angelodimauro.it:
"Le Teresinelle nel parco" (Petrosinella/Prezzemolina, Cenerentola & tutte le altre attraverso le narrazioni dei contadini di Somma Vesuviano)


Una "Prezzemolina" sulla scana:

venerdì 11 giugno 2010

Surrealismo romantico: introduzione a "Nel regno di Burla"

Surrealismo romantico

ovvero

“Nel regno di Burla”:

la fiaba algida, preziosa & scintillante


Inventare una fiaba per una deliziosa e intelligente V classe elementare, la medesima classe che aveva meravigliosamente saputo e “voluto” mettere in scena un fiabesco bosco di “alberi abeti”, il Natale precedente, mi ha portato a realizzare, credo, un piccolo sogno surreale e romantico al tempo stesso e surreale & romantico come può esserlo un sognante, evanescente dipinto di Chagall. (Ma anche come può esserlo un più geometrico, ipnotico Magritte!)
Sono partita così, alla brava, senza un’idea ben definita, sedotta dal suono e soprattutto dall’elegante grafica dell’incipit fiabesco che mi era venuto in mente: “Nel regno di Burla viveva una volta…”
Suonava proprio bene, infatti, e soprattutto…evocava.
Il bel nome violetto della regina –Ametista- mi ha condotto a dar corpo poetico ad una mia vecchissima ossessione infantile e giovanile: la passione per gli elenchi di nomi comuni & nomi propri, insoliti e rari, dal suono melodioso e spesso dal doppio significato: nomi greci, latini, biblici e germanici, celtici e slavi, medioevali e barocchi, nomi letterari ed orientali, di erbe e di fiori e di virtù non solo teologali, di dei, stelle e pianeti, minerali - pietre dure e preziose, appunto!
Istantaneamente così, da questi coloratissimi nomi, preziosi e scintillanti (ed anche un po’ buffi) è venuta fuori una fiaba estremamente preziosa e scintillante, smagliante nei suoi vari e vividi colori.
Una fiaba algida e un po’ rigida, anche, perché adesso la reale valenza della paroletta “burla” che mi aveva intrigato, si era ben palesata: i personaggi che erano venuti alla luce, infilandosi uno dopo l’altro, come grani di una collana ( di perle? O di corallo? O di ametiste? O…) non solo portavano questi bellissimi nomi di preziosi minerali, ma in un’ottica leggermente deformata e distorta – in un’ottica surreale, appunto- essi lo “erano” anche o almeno lo divenivano con una bellissima metamorfosi, che non sarebbe, poi, stata l’unica della storia.
La fiaba, pertanto, era “rigida” per la qualità stessa delle algide pietre dure & preziose che la componevano: non si capisce, infatti, bene alla fine se fossero i personaggi a essersi mineralizzati o, esse, le pietre, ad essersi antropomorfizzate… (e questa, infatti, è proprio una bella burla! - hanno subito capito i bambini e si sono messi a disegnarne la trasformazione!)
Chi infatti si trasforma di più, in questa fiaba tutta giocata sulla metamorfosi di una fanciulla in cerva? Lei stessa o infine tutti, proprio tutti i personaggi?
Magia della parola! O meglio, magia dei nomi che, come ben sanno i poeti e tutti i primitivi, hanno un potere evocativo affascinante &… tremendo.
Magia, dunque, e metamorfosi e luce e colore e bellezza e rarità come… l’amore.
Infatti, anche qui, come in ogni fiaba che si rispetti, l’amore è al centro della storia, anzi, come il cuore, il fulcro scintillante di un diamante, esso ne costituisce il motore trainante
Il suo contraltare, l’odio, non può certo mancare ed ecco entrare in scena la gialla Topazia: fata, matrigna e malvagia - Siamo proprio nel solco dell’antica tradizione, quella che piace sempre (e tanto!) ai bambini – il suo, è il giallo ambrato e pericoloso dell’olio bollente, del mantello della vespa, della pupilla della tigre, non quello, luminoso e scintillante dell’oro, del nobile Dorindo appunto, che incarna l’amore.
E la nobiltà di Dorindo è proprio quella del metallo che del quale porta il nome: egli non solo è principe, ma ha un cuore generoso: cerca a lungo e pervicacemente l’amore, si commuove per tutto ciò che è debole, s’intenerisce per la cerva ferita, la salva e la fa curare, l’accarezza e voluttuosamente la bacia sul setoso mantello (è già innamorato?), infine l’esaudisce e la fa danzare… così come per gioco, con complicità e tenerezza, si fanno danzare i bambini piccoli e i vecchietti. Ma soprattutto Dorindo sa soffrire per lei e piange “per vero dolore”
Il dolore - Saper provare dolore -, in questa fiaba, è il vero talismano e la sofferenza d’amore, la sofferenza di Dorindo, che sparge dappertutto le sue “lacrime amare d’amore”, la pietra magica e preziosissima, che, sola, può disciogliere i viscidi incanti dell’odio. E gli discioglie, infatti, alla lettera: in un mare.
E così alla fine, nel salone non più allagato ma ancora bagnato, ai barbagli colorati delle pietre – tutti i personaggi sono lì riuniti - si unisce quello, più magico ancora ed arcano, degli specchi che rimandano l’immagine dell’avvenuta metamorfosi. La fanciulla è liberata; la cerva, nello specchio.
“Ma come si troverà la cerva nello specchio?” – mi ha chiesto una bambina, felice ma un po’ inquieta.
“Benissimo! Galopperà per il meraviglioso paese che c’è oltre gli specchi, non ti ricordi di Alice?”-le ho risposto io -
Tra tanti bagliori di perle e smeraldi, oro, ametiste e rubini, il nome Corniola per la mia timida protagonista era d’obbligo: è una semplice pietra dura, ma molto meno vistosa e appariscente della turchese: ha il caldo colore delle foglie autunnali, di un fuoco discreto, anzi, della brace del focolare che barbuglia d’inverno… una bellezza tutta interiore e profonda. la Corniola è la pietra che dà la pace del cuore… (Si può ben capire allora, perché l’irrequieto Dorindo si innamori perdutamente della dolcissima fanciulla-cerva!)
Ma tutte le pietre, come del resto i colori e i fiori, nascondono profonde valenze e significati – ed anche perle e coralli, che pietre proprio non sono (ma quanto sono ugualmente belli e preziosi!) – ed inoltre, mettendoci strettamente in contatto con nostra madre terra, pare che… curino.
Si sa che anticamente, al tempo delle fiabe appunto, colori e pietre e fiori si sceglievano, indossavano, regalavano, dipingevano non casualmente ma seguendo un codice preciso e molto articolato di significati simbolici per il quale l’ametista, l’oro, il diamante, la perla, il rubino, il corallo, la turchese, l’agata, lo smeraldo, la corniola, il topazio simboleggiano:
O Ametista: intuizione, forza, intelligenza, affetto, sapienza, pace. (Ma anche intemperanza!)
O Oro: conoscenza, energia, prosperità.
 Diamante: innocenza, purezza, fiducia, sapienza, abbondanza. Secondo la tradizione riflette la volontà e il potere di Dio.
O Perla: amore, purezza e femminilità
O Rubino: felicità, passione, intuizione, coraggio, integrità, potere, devozione spirituale.
O Corallo: prosperità, salute, equilibrio. E’ il sangue pietrificato delle Gorgone del mito greco e, associato al sangue di Cristo, simbolo di resurrezione.
O Turchese: lealtà, amicizia.
O Agata: amabilità, prosperità.
O Smeraldo: conoscenza e verità, prosperità, amore, gentilezza, tranquillità, equilibrio.
O Corniola: gioia, calore, affetto, pace
O Topazio: abbondanza, calore, amicizia ma, poiché esistono delle riserve nei confronti del colore giallo che la caratterizza, anche può simboleggiare anche il tradimento e la falsità.
E che, come si sapeva fin da tempi ancora più antichi di quelli in cui S. Ildergarda di Birgen scrisse il suo celebre trattato, questi scintillanti minerali possono anche curare ed infondere:
O L’ametista: infonde serenità, calma, favorisce la meditazione, protegge dalle ubriacature (e questo è il significato del suo nome), dà energia, rinforza le ghiandole endocrine e il sistema immunitario, purifica il sangue, favorisce l’intuizione e migliora le attività della parte destra del cervello, le ghiandole pineale e pituitaria.
O L’oro: energia e vigore (ma anche inquietudine). Secondo la religione cristiana fu uno dei doni portati dai Re Magi al Bambino Gesù ed e perciò è simbolo della regalità di Cristo.
 Il diamante: disperde la negatività, purifica e dà energia al corpo e allo spirito, migliora le funzioni cerebrali, elimina i blocchi della personalità.
O La perla: emana felicità e piacere. Cura tutte le forme di congestione, come il catarro e la bronchite
O Il rubino: porta felicità e potenzia e rivitalizza la memoria, le capacità intuitive, il sangue e il sistema immunitario, infonde calore, ardore e combattività. (Ma può accentuare anche il nervosismo!)
O Il corallo: è il portafortuna per eccellenza, migliora la salute mentale e fisica, aiuta in caso di cattiva circolazione, anemia e malattie del cuore.
O La turchese: pietra sacra per gli indiani d’America, rinforza e tonifica l’intero organismo, rigenera i tessuti, aiuta la circolazione del sangue, migliora la meditazione, e le espressioni creative, dà pace alla mente. Era considerata un talismano e,secondo la tradizione, mutando colore, avvertiva i cavalieri di un pericolo incombente. E li tutelava dalle cadute. Per questo, ancora oggi si crede che protegga gli aviatori.
O L’agata: predispone all’amore, tonifica il corpo e la mente, infonde un senso di forza e coraggio, è di aiuto agli sportivi ed a coloro che si trovano sotto esame. Anticamente si credeva che estinguesse la sete e proteggesse dalla febbre. I maghi persiani la usavano per allontanare i temporali
0 Lo smeraldo: il suo colore, il verde, è il colore di Venere, per cui protegge l’amore e gli innamorati. Migliora la vista ed aiuta la memoria. Buono per i sogni, l’introspezione spirituale e la meditazione. Rinforza il cuore,il fegato, i reni, il sistema immunitario ed il sistema nervoso.
O La corniola: calda e gioiosa, è la pietra che calma e che dà pace, facilita la concentrazione, apre il cuore e mette in sintonia con sé stessi; dà energia al sangue, aiuta i reni, i polmoni, il fegato.
O Il topazio: previene l’insonnia, favorisce il sonno profondo, rigenera i tessuti, rinforza il fegato, la milza, il sistema nervoso. Disintossica l’organismo e migliora la digestione
Per ultimo, non ancora sazi di tutto ciò, i bambini sono venuti a conoscenza che:
O L’ametista è una varietà di quarzo .
O L’Oro è un metallo di transizione tenero, pesante, duttile e malleabile. Il suo simbolo chimico è Au, dal latino “aurum” che ha il bellissimo significato di “alba scintillante
 Il diamante è la gemma più preziosa. E’ costituito da atomi di carbonio e si forma sotto la superficie terrestre a grande profondità, dove vi sono elevatissime temperatur. Il magma dei vulcani lo strappa dalla roccia profonda in cui cresce e lo fa risalire a minori profondità, a volte anche in superficie. Esso è incolore ed è il minerale più duro che esista in natura; il suo nome deriva infatti dal greco “adamas”, che significa “indomabile”. Il diamante viene tagliato in varie forme, delle quali la più comune e ricercata è quella Brillante.
0 La perla è il meraviglioso prodotto delle ostriche. Il suo nome deriva dal latino “premula” che ne indicava la conchiglia. Quando un granello di sabbia penetra nella loro cavità, questi molluschi marini, per difendere i loro tessuti, la ricoprono con strati e strati di un loro prodotto: la madreperla. Il colore più comune è il bianco, ma esistono anche perle rosa, crema, grigie, viola e nere.
O Il rubino è la più nobile varietà monocristallina dell’ ossido di alluminio, un minerale noto come corindone.
0 Il corallo è costituito da colonie di minuscoli organismi marini che vivono in formazioni arborescenti sui fondali marini in acque tiepide, strutturate assumendo una forma ramificata sostenuta da assi scheletrici composti carbonato di calcio (unica parte utilizzata nella lavorazione)
O La turchese è un fosfato di rame alluminio. Il suo colore può variare dall’azzurro intenso al verde azzurro e al verde per la quantità di rame e per la presenza di ferro e di cromo ed una caratteristica curiosa è che una stessa pietra può mutare sfumatura a causa della luce, della polvere e della reazione con la pelle e con i cosmetici di chi la indossa. Anticamente si credeva invece che il cambiamento di colore indicasse un pericolo incombente. Il nome è relativamente recente e viene dal francese: significava “pietra turca” ed indicava, assieme alla Turchia, la Persia in cui, dai tempi delle Crociate in poi, si potevano trovare le turchesi più belle. Questi orientali usavano portarle sul turbante e adornarne l’impugnatura delle scimitarre; ma ricordiamoci che le più antiche turchesi sono stata trovate in tombe egizie. risalenti a 3000 anni avanti Cristo ( e spesso sotto forma di scarabeo portafortuna)
O L’agata è un quarzo di calcedonio ed è stata striata dalla natura in maniera molto creativa: può essere, infatti, di vari e cangianti colori, a bande concentriche simili ai cerchi di un tronco d’albero, ad occhi, a fantasiose conchiglie. Il primo a collezionare ben 4000 coppe d’agata fu il re del Ponto, Mirtidate, dopo di lui gli imperatori bizantini ed i re d’Europa durante il Rinascimento, si appassionarono a questa particolare collezione.
O Lo smeraldo è un berillo e, come tutti i minerali che appartengono a questa famiglia, è costituito da atomi di berillo, alluminio, silicio e ossigeno.
O La corniola è una varietà del calcedonio e il suo colore può cambiare dal rosso scuro ad un caldo marrone rossiccio
O Il topazio è un cristallo dal colore dell’oro, ma, oltre che di tutte le sfumature e gradazioni del giallo, può essere anche azzurro, rosa, bianco.
E poi altro ed altro ancora: storie, leggende, curiosità su queste e sulle altre gemme.
E’ stato un gioco curioso e affascinante condurre per mano i bambini in questo mondo meraviglioso dove non si finisce d’imparare e di stupirsi: si scava nel ventre misterioso della terra o ci si immerge fino in fondo al mare per carpire non solo i più e rari segreti tesori della natura ma anche tutte quelle interpretazioni e stratificazioni culturali che, fin dall’alba dei tempi, i nostri molto più intuitivi antenati vi hanno sovrapposto.
E così i personaggi del regno di Burla mutano nuovamente sembianza: essi “sono anche” le qualità stesse delle pietre che danno loro il nome e per estensione, essi sono anche dei colori.
Variamente ispirato dalla natura e dagli animali, il simbolo ha sempre trovato una sua identificazione anche nei colori. R. L. Rousseau, nel suo studio “Les coleurs, contribution à une pilosophie naturelle fondée sur l’analogie”, li considera una forma di linguaggio “dell’anima universale”, come una chiave che ci permette di aprire la porte dei misteri antichi, una sorta di filo d’Arianna che ci riporta all’unità ed alla comprensione dell’universo. (“ …Essi ci conducono alla nozione platonica delle idee (immagini) o archetipi, sui quali la scuola di C. G. Jung ha fondato tutta una nuova scienza dell’Anima. I colori si riferiscono a degli archetipi che diventano, come l’essenza del Rosso, del Blu, ecc. dei complessi universali. Rapportati a livello profondo con gli archetipi, i colori ci appaiono come dei crocevia dove si incontrano l’Arte, la Scienza, la Filosofia…”)
Sappiamo che la vita è energia e vibrazioni e che i colori costituiscono una scala elevata di queste vibrazioni e sono in grado di modificare ed influenzarle nostre energie ed emozioni . Gli antichi Egizi indicavano col medesimo vocabolo il ”colore” e “l’essere”, - Alzi la mano chi non si è mai “sentito”, almeno una volta, un colore? E/o “puro colore”? -
Pertanto è stato ben facile, per me, immaginare l’essenza dei personaggi del “Regno di Burla”, il loro nucleo essenziale, fatta di colore.
Tanti bellissimi colori… Una tavolozza fiabesca per dipingere, insieme, liberamente impressioni ed emozioni, per avventurarsi, divertendosi, anche nel mondo segreto e meraviglioso dei simboli: mondo fluido delle concatenazioni, correlazioni, trasformazioni, ambivalenze, opposizioni in cui, proprio come un diamante, ogni immagine appare composta di molteplici sfaccettature che vanno al di là dei suoi significati più ovvi ed immediati, mondo dell’inconscio… In esso ci si inoltra proprio come i due fratellini nel bosco, e si comprende sempre, alla fine, come ogni cosa bella e allettante (la casetta di marzapane) sia ambivalente e possa, cioè, contenere anche il suo opposto.
Il mondo delle cose, il mondo degli esseri… tutto il mondo creato. Esso è il mondo dei simboli e la “regola delle opposizioni”, che lo governa, è insita nel suo misterioso linguaggio.
I nostri personaggi-pietre pertanto, come tutti i gioielli, sono oggetti che fanno pressione sull’immaginario, che sprigionano un oscuro, ipnotico, irrazionale potere di fascinazione e ben si prestano ad assumere un valore simbolico.
Ecco dunque un’altra fiaba a strati, come una torta (marzapane? Cioccolato? Pistacchio?), che si taglia a fette e, in un solo boccone, fa gustare i più vari, rari, contrastanti sapori! O vogliamo vederla come una montagna costituita da variopinti strati di rocce sedimentate? (In cima, naturalmente si erge il castello di Burla, “più terso del giorno”!)
IV ed ultima metamorfosi: la fiaba può divenire una fiaba teatrale.
Ma come si mette in scena una fiaba così?
Secondo me, il più semplicemente e schematicamente possibile.: dovendosi necessariamente questi personaggi-pietre ( a parte Corniola-cerva, ma non Corniola-fanciulla) rendere sulla scena “vestiti” in carte metallizzate, rigide & luccicanti, è chiaro che, proprio come nella cantafavola “Cenerentola”, anche la messa in scena seguirà uno schema rigido (e più semplice, appunto):
2 o 4 attori-narratori, in semplicissimi, eleganti fuseaux neri, si alterneranno a cornice, ai lati della scena, e saranno i soli a recitare alternativamente le strofe della fiaba, indicando con gesto armonioso della mano, via, via i personaggi e/o i momenti più salienti della storia
11 attori-mimi, in pseudo tuniche o ponci di cangiante e luccicante carta metallizzata (l’effetto deve essere geometricamente fantamedioevale) impersoneranno, sullo sfondo, gli 11 personaggi. La cerva vestirà body e calzamaglia (con codino) rossicci. Ad essi sarà concesso soltanto qualche gemito o esclamazione: tutto si giocherà sui gesti e l’espressione. E la metamorfosi di Corniola si potrà risolvere brillantemente col farle rapidamente indossare sopra la sua luccicante tunica color… di pietra corniola.
Basta! Usciamo presto da questa troppo rutilante ossessione e… prepariamoci ad immaginarne un’altra, sempre divertente (si spera) e, se pur in diverso modo, scintillante.




Il gioco delle illustrazioni

Con i bambini si è fatto un bel gioco davvero! Si è giocato alle sorprese dell’ immaginazione…
Non alludeva il titolo, del resto ad una burla?
Dapprima si è letto sulla pagina bianca: lì soltanto, i nomi preziosi dei personaggi erano incastonati in coloratissimi, quasi luminescenti rettangoli e quadrati, ognuno del colore “giusto” della pietra che rappresentavano… ma essi non sapevano ancora, non era stato ancora detto loro almeno, che quei nomi erano anche nomi di pietre dure & preziose & di perle & di coralli “veri”…
Qualcuno però, già si guardava attorno incuriosito e, se non aveva già mangiato la foglia, lo stava certo per fare e si stava divertendo perchè comunque aveva capito che lì sotto c’era qualcosa.
Poi improvvisamente, dopo giorni e giorni, di lettura, partecipazione, suspense, commozione, gare di recitazione che tutti, ma proprio tutti volevano fare (la fiaba era davvero piaciuta!) si è svelato l’arcano: la burla appunto… e Sono state ridistribuite le pagine e… erano cambiate!
Ai lati del testo centrale, infatti, apparivano in tutto variopinto splendore delle loro cangianti sfaccettature, le fantasmagoriche immagini di minerali e di perle e coralli del mare.
E così si è parlato un po' di loro,,, non tanto poco, per la verità ed è stata tutta un’altra storia, nella nostra storia.
Ma guarda! I personaggi che avevano imparato ad amare o ad… odiare (Topazia) potevano dunque essere qualcosa di molto diverso, ma di ugualmente meraviglioso; e soprattutto, si poteva far conoscenza anche con loro – anche con questo secondo loro duplice aspetto, cioè – ed esaminarli uno per uno, avventurandosi nell’incredibile regno della Natura.
Meraviglioso reame anche questo! Straordinario paese che nessun bambino o ragazzo smetterebbe mai di esplorare, se solo qualcuno gliene mostrasse i segreti sentieri e lo conducesse amorosamente per mano!
E così, mentre da un lato si studiava sulle schede di scienze naturali , da queste, si passava avventurosamente a quelle di cristalloterapia, si sconfinava un po' – ma solo un poco - nella chiromanzia e perfino nell’ araldica medioevale (per i significati dei colori), dall’altro si ritornava sempre a parlare dei nostri personaggi…
Dorindo, Corniola, Esmeralda…
Che bei nomi! E, ogni nome, un colore, una pietra… un carattere.
Certo, anche un carattere! Perché ora si andava scoprendo che, non solo essi avevano la personalità che avevano ( Dorindo irrequieto sognatore, Corniola timida & dolce, Perlina, saggia & industriosa, Topazia, malvagia &… ), ma che anche le pietre, secondo antichissime, arcestrali credenze, avevano i loro “caratteri” precisi, o meglio, ciascuna di esse aveva la misteriosa facoltà, il quasi magico potere di migliorare la personalità di chi le indossasse o solo le tenesse in mano.
Così, Corniola dava la pace (Ecco forse perché Dorindo trovava rifugio in lei e se ne innamorava!), Corallo & Agata, abbondanza & prosperità, la Perla, femminile sapienza; Topazia sola ci creava qualche problema perché si leggeva che la bellissima pietra gialla portava e rappresentava diverse virtù & attitudini: amicizia, calore, ecc,
E allora?
Allora la scappatoia c’era perché, tra tante nobili associazioni, si leggeva in un angolino che il suo colore, il giallo, questo nuance luminosa che rappresenta il sole e lo splendore, pur tuttavia, per alcuni, era anche il colore del tradimento & dell’invidia e che addirittura messer il diavolo – il grande invidioso! - era anticamente immaginato vestito, non di rosso, no, ma proprio di giallo.
Curioso, vero? Ma non tanto poi, per chi bazzichi con fiabe, miti ed antiche credenze, nelle quali, prima o poi, l’ambivalenza spunta sempre fuori…
- Ah, la saggezza dei nostri antenati e la perspicacia, poi! –
Dunque era semplicissimo e furono i bambini stessi, fatte le debite associazioni, ad arrivarci rapidamente:
la luminosa, splendente Topazia era, sì, “stata” e tutte le altre belle cose, ma poi era diventata invidiosa della bellezza semplice & pura – qualità molto rara - di Corniola & della sua pacata dolcezza; così, per invidia, era diventata malvagia… proprio come aveva fatto, una volta, messer Lucifero.
Era pertanto il perfetto contraltare di Dorindo, l’altro dorato, luccicante personaggio, “l’altro giallo” della fiaba, che aveva fatto, invece, quasi il percorso inverso: dall’inquietudine, da noia & eterna scontentezza che lo portavano a sprecare tutte le sue vigorose energie nella reiterata violenza sugli animali del bosco (Cacciava lo sventato, ricordatevi che cacciava soltanto, “dall’alba al tramonto”) egli era giunto alla compassione, alla riflessione &, attraverso la consapevolezza del dolore, attraverso “un vero fiume di lacrime amare” che aveva versato, all’amore pieno & appagante che tutto può & trasforma, come una magia.
Più caratterizzati di così!
Che magnifici personaggi si erano rivelati, tutti quanti!
E poi… “personaggi a strati”: strati & ancora strati, torreggianti fette di torta nuziale, di variopinta cassata siciliana o torta “sette veli”…
Sì, proprio sette veli: erano proprio personaggi che si svelavano continuamente e… ogni velo che si toglievano, una sorpresa!
E allora, adesso disegnamoli, bambini!
E se possibile, con tutte le loro trasformazioni:
da fanciulla in cerva, da cerva in fanciulla, da fata in nonna Perlina, da irrequieto cacciatore in innamorato, da splendida fata in cattiva matrigna…
E poi ancora: da cerva ferita in cerva curata & guarita, da scale in torrenti, da cucina in un mare, da castello di Burla in vascello che andava…
Ma anche, se ci riuscite: da ametista in regina, da diamante & brillante in sorelle zitelle, da pepita d’oro in principino, da rubino in lacchè e così via.
E ognuno di noi disegnò come volle e potè. Anche io.
E, mentre ancora ero occupata in questa piacevolissima ma laboriosa attività, feci vedere alla classe la mia prima pagina: la “mia” Ametista & il “mio” Dorindo e spiegai allora cosa significasse “immagine antropomorfa”
Due soli giorni dopo una bambina dalla straripante fantasia, di nome Rossella, esibì con orgoglio, davanti ai miei increduli occhi, le piccole & buffe, fantastiche immagini delle pietre antropomorfizzate, così come se le era immaginate lei, che sono rimaste, senza dubbio, le migliori della classe:
Rubino & Corallo Carollo, T. Turchese & Agatina, Topazia & Esmeralda
(Non potei fare a meno di imitarla un poco e così nacquero anche, nel suo personalissimo stile:)
Regina Ametista & Dorindo Diamante & Brillante, la nonna Perlina & Corniola
Ripassarono quindi per la classe - e fu la terza volta - le pagine con la fiaba & le perle & i coralli & i minerali…
Alcuni di essi si erano trasformati in qualcosa di molto strano & molto bello, di stranamente bello, anzi.
Adesso tocca a voi! - dissi - Voi vi trasformerete in pietre & personaggi:
si va in scena, ragazzi!











APPROFONDIMENTI:


Surrealismo romantico: "L'opéra Immaginaire" di Pascal Roulin (1993)








venerdì 4 giugno 2010

Si VA IN SCENA....

Teatro Giocorì


dell’ I, C. S.” Amari - Roncalli”




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· * *


Martedì 8 giugno 2010, alle ore 10,

la Classe 3 A

porterà sulla scena una bellissima

Presentazione con burattini

seguita da una fantasmagorica fiaba teatrale piena di sorprese:

"La biblioteca dei balbettanti barattoli"





( molto liberamente ispirata al romanzo di Ray Bradbury & al film di François TruffautFahrenheit 451: gli anni della Fenice”)

all'’interno della quale scoprirete & gusterete altre 2 fiabe e cioè:


Pezzettino



(adattamento teatrale del racconto di Leo Lionni)


&

Tè alla fragola

ovvero

una nuova avventura dell’ Alice

di Lewis Carrol,



dedicata a John Lennon

&

alla sua intramontabile canzone “Strawberry fields forever

*

· * *


Giovedì 10 giugno 2010, alle ore 1030,


la Classe 3 B


nell’ambito del Comenius Project 2010

The games: from grandparents until today


porterà sulla scena:


Giochiamo ai giochi dei nostri nonni!


&


"Zammara, zammara porta quartari…”






Fiaba teatrale

in dialetto siciliano


tratta dalle antiche “conte” o filastrocche per contare,

raccolte da Giuseppe Pitré nel suo

I giuochi fanciulleschi siciliani